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C'era una volta lo Stelvio

Anno 2000.

Leggo, per certi versi stupito, la data sul certificato, Sono passati 21 anni da quando ritirai l’attestato di frequenza del motoraduno dello Stelvio; qualche anno in più è invece passato dalla prima partecipazione a questo celeberrimo raduno motociclistico, indicativamente circa 26, forse 30; ma non mi sembrava fosse passato così tanto tempo. Sono mille i ricordi legati a questa imponente manifestazione, ed alcuni di essi ancora nitidi, soprattutto quelli della prima edizione;  la smania di partecipazione, l’emozione per la preparazione del viaggio e la partenza, Massimo e Andrea, amici di’infanzia, alla loro prima esperienza motociclistica di lunga percorrenza, e le emozioni vissute chilometro per chilometro fino lassù, in “cima al mondo” per la prima volta.

 

La prima volta anche per tante altre mete che avevamo inserito nell’itinerario, perché non ci può essere Stelvio senza Gavia, il Gavia che  aveva ancora un versante sterrato e l’amico Massimo in sella alla sua Yamaha Thundercat 600 che ci malediva ad ogni tornante, mentre intorno a noi si aprivano panorami straordinari.

Scenari più vissuti che immortalati, dato che la reflex era ancora a pellicola e le foto dovevano essere scattate con parsimonia, dato che la disponibilità dei rullini non era infinta che ogni scatto aveva un costo; un altro modo di intendere la fotografia e la passione per la stessa, rispetto ad oggi.  

Ma le immagini sono scolpite nell’hard disk cella mia mente legate indissolubilmente alle emozioni che le stesse hanno suscitato, una condizione che oggi purtroppo stiamo perdendo demandando alle memorie digitali il compito di salvare il tutto, anche le emzioni.

Reminiscenze chiare come l’arrivo al punto di registrazione a Sondalo, e l’emozione per il raggiungimento della meta, insieme a tantissimi altri motociclisti giunti da tutta Europa, con il sole ancora tiepido che asciugava l’umido raccolto durante la prima parte del viaggio, l’ingresso dentro al centro sportivo ed il montaggio della tenda all’interno dell’area; perché il raduno,  almeno una volta , doveva essere vissuto cosi.

E  la sensazione di comunità decisamente forte, piacevolmente intensa, almeno nella prima edizione a cui abbiamo partecipato; all’interno del tendone birra in mano, non conoscevi nessuno eppure ti sembrava di conoscere tutti.

E la follia, sana ma purtroppo, in alcuni casi anche malata, quella che con il calare delle tenebre avvolgeva tende e tendoni.

L’iscrizione, che non ricordo assolutamente quanto costasse, dava diritto, oltre alla possibilità di piantare la tenda, anche a un piatto di pizzoccheri, una birra e il ricordo del raduno (una medaglia, o adesivi), alla quale non potevi non abbinare anche l’acquisto anche di una maglietta stampata.

Il gadget del raduno però lo dovevi andare a prendere su al passo, dove ovviamente saremmo comunque andati; lassù a 2750 mt dove i 70 cavalli del motore Ducati a carburatori che equipaggiava la mia Elefant 750 diventavano 20 asini  e dove qualche volta ha anche nevicato.

A luglio. Ed era bellissimo!   


Ricordi… la risalita al mito, al passo dello Stelvio, gonfia di infinita emozione, il fiato quasi trattenuto, tornante dopo tornante e lo sguardo che si perde incredulo lungo le pendici montane; un estasi durata il tempo della risalita, fino alla soddisfazione dell’arrivo in vetta.

Ed il su e giù dal passo, il venerdì, e poi il sabato insieme a centinaia di altre moto,  almeno nella prima edizione, l’unica che abbiamo vissuto totalmente.

Ci siamo, ci siamo anche noi. Gioia Infinita.

 

E la “Parata delle Luci”.

Centinaia di moto che a sera sfilavano per la cittadina ammirate da migliaia di persone assiepate sui marciapiedi, suggestivamente divertite dal lungo serpentone illuminato che si snodava per le vie.

Emozioni. Irripetibili.

Ma poi, la follia, quella prima citata è progressivamente aumentata, con il passare degli anni, sostituendosi al senso di aggregazione, si percepiva più la voglia di trasgredire, di farsi vedere, che di stare insieme; forse perché anche se la percentuale di anomali restava la stessa l’aumentare del numero dei partecipanti faceva aumentare anche quello degli stupidi, e di stupidi ce n’erano, troppi.

 


 

Troppi come, probabilmente gli stessi partecipanti al raduno, nel periodo più  intenso del raduno sono oltre 10.000 gli iscritti, ai quali vanno aggiunti gli aggregati non paganti. 

 

Un caos indescrivibile; culminato con una gigantesca coda di moto completamente bloccate sia in salita che in discesa al passo a causa dell’elevato numero di motociclisti in azione e da qualcuno dei suddetti “stupidi” più impegnati a fare il record della pista che a godersi il raduno, che si è “goduto” una corsa in ospedale.

Ed è così, che successivamente, il raduno è diventato più una tappa di passaggio; arrivo il venerdì, serata a pizzoccheri e birra quando ancora era tutto tranquillo e vivibile per poi “smontare le tende” il sabato mattina, prendere la medaglia sul passo e proseguire verso altre mete, come le Dolomiti o l’Ottovolante Svizzero, lontani dal caos, lontani dalla follia ormai troppo dilagante.

Ma sono comunque ancora tante le immagini e le sequenze impresse nella mente, e le sensazioni, come la prima notte in tenda durante la quale è stato impossibile dormire, dal programma del raduno che ci ha tenuti in piedi fino a tardi, ai fuori programma regalati dalla “fauna” dal tasso alcolico sempre più elevato. 

 

Fotogrammi.

 “Ma Gianni non aveva cambiato la gomma prima di partire?”

“è vero, infatti non capisco perché sta facendo il bornout”

Piange Gianni, quando esplosa la gomma, si rende conto di cosa ha fatto.

 

 

Immagini.

Zavorrine con silenziatori in mano, in religiosa attesa del termine della gara di rumore che gli ubriachi consorti stanno sostenendo.

 

 

Emozioni.

La parata delle luci, immersi in centinaia di moto che sfilano per Sondalo, in notturna.

Un serpentone luminoso di rara bellezza…

 

 

Spettacolo.

Quello che eravamo noi, i veri protagonisti del raduno, quelli che le famiglie della zona andavano ad ammirare insieme a figli che non riuscivano a chiudere la bocca aperta per lo stupore continuo.

 

 

Umanità

Quella che, terminato di fare casino in ogni modo possibile ed immaginabile, a notte fonda regala circa 15 minuti di silenzio quasi inconcepibile, prima di iniziare a vomitare, sempre rumorosamente.

 

 

 


E  L’alba di domenica ti trova li ancora sveglio, quasi incredulo del chiarore che apre il nuovo giorno, una passata di acqua sul volto ed è tempo di smontare il tutto, ricollocare tutto sulle moto e prepararsi al viaggio di rientro.

Nella testa mille immagini, mille cortometraggi,  addosso mille sensazioni, mille emozioni tutto da metabolizzare, durante il lungo viaggio di rientro e i circa 500 km che ci separano da casa.

  

E tutto questo è li, scolpito nella mente ma anche nel cuore e nell’anima, eventi che in un modo o nell’altro mi hanno formato e mi hanno fatto crescere, diventando quello che oggi sono, nel bene e nel male, e che non cambierei in nessun modo se potessi tornare indietro.

Memorie, indelebili felici ma anche dolorose; come quelle legato a chi viaggiava insieme a me e che da tempo non c’è più, un tempo che non lenisce il dolore, lo nasconde, ma non lo cancella.

Ed i ricordi mi accompagnano, ogni volta che inserisco la chiave nel quadro, ogni volta che sento il primo ruggito del motore; ogni volta che sale la stessa intensa emozione, quella che mi racconta chi sono, nelle gioie e nei dolori e nelle profonde cicatrici.

 

 

Poi, il clack del cambio cancella tutto, si parte per una nuova avventura, pronti per nuove emozioni, motore inarrestabile di quel viaggio straordinario che è la Vita.   

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