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Sicurezza in moto - strage infinita

La chiamano strage, mattanza, ormai non si contano più gli aggettivi che vengono usati per descriverla certo è che nell’ultimo fine settimana sono 18 i motociclisti rimasti uccisi; un numero altissimo e per certi versi spaventoso..

Eppure questi sono dati che sembrano non interessare nessuno, ed incredibilmente i meno interessati sono proprio loro, i principali protagonisti: i Motociclisti.

 

Non interessa a nessuno perché, di fatto, non si fa niente in concreto e non viene presa in esame nessuna possibile soluzione a questo drammatico problema; se ne parla sull’onda dell’emozione di fronte all’ennesimo telo bianco steso sulla strada e poi ci si dimentica, fino al prossimo incidente.

In termini di Sicurezza del motociclista o comunque dell’utente delle due  ruote, le uniche proposte che vengono promozionate sono principalmente quelle legate al concetto meno efficiente di sicurezza, ovvero quella passiva.

Ed è cosi che i motociclisti vengono obbligati ad usare il casco e “educati” ad utilizzare tutte le protezioni possibili ed immaginabili in grado di ridurre i danni in caso di incidente.

Tuta, paraschiena, stivali, guanti e tutto ciò che la moderna tecnologia mette a disposizione deve essere utilizzato dall’impavido pilota, il tutto con la velata assicurazione che adottando queste precauzioni ci si salva la vita in caso di incidente.

Ma le cose non stanno proprio così.

Questo tipo di protezione passiva infatti è efficiente solo in determinate condizioni e letteralmente non è in grado di “salvare la vita” in termini assoluti; così come un giubbotto antiproiettile non è in grado di garantire la totale incolumità in guerra.

Questo tipo di protezioni infatti è efficace solo se non si creano condizioni tali da causare lesioni agli organi molli che stanno all’interno del nostro corpo relativamente protette dalle ossa.

Facciamo degli esempi per chiarire meglio il concetto; quanti di noi hanno dato un pugno sul casco dell’amico mentre lo indossava rilevando l’assoluta assenza di conseguenze? Parecchi immagino;

e quanti di noi invece hanno caricato come un toro impazzito un muro in cemento armato con la testa “protetta” dal casco? Praticamente nessuno.  

Eppure è la seconda modalità a simulare veramente le condizioni di un incidente in moto, nella quasi totalità dei casi è la nostra testa a muoversi ed impattare contro un ostacolo e non, viceversa, a restare ferma mentre qualcosa gli sbatte contro.

E la differenza nei due casi è drammaticamente enorme, anche se per qualcuno potrebbe non essere rilevante:

 


Un uomo di 70 chili che viaggia su una auto a 50 chilometri orari ed ha uno scontro frontale contro un ostacolo fisso, al momento dell'impatto pesa come un elefante, ovvero tre tonnellate e mezza, che corrisponde al peso di un corpo in caduta libera dal terzo piano di un edificio. L'energia dell'impatto cresce pero' con l'aumento della velocita': un urto a 100 km orari, corrisponde ad una caduta dal tredicesimo piano.

Lo ha detto il professor Andrea Costanzo, docente di ortopedia e traumatologia all'universita' ''La Sapienza'' di Roma e membro della commissione tecnica dell'Aci, intervenendo alla 53.ma edizione della conferenza del traffico e della circolazione in corso a Stresa.

 

E alle ovvie conseguenze per quanto sopra citato occorre anche aggiungere quelle legate alle forti decelerazioni

Esiste una relazione generale tra la variazione di velocità di un veicolo durante l’urto e la severità dei danni.

 

Gli incidenti mortali possono anche verificarsi per bassi valori di delta V tuttavia, per variazioni di velocità superiori a 80 km/h un urto è virtualmente non “sopravvivibile” per il fatto che le  accelerazioni che incombono sugli occupanti superano la soglia di lesività mortali degli organi vitali.

 

E’ la stessa differenza di efficacia delle protezioni, per esempo, che c’è in una caduta in una gara di Moto GP rispetto ad  una caduta al TT dell’isola di Man, i motociclisti indossano le stesse protezioni ma mentre in moto GP esistono gli spazi di fuga che permettono al pilota che cade di non andare ad impattare violentemente contro un ostacolo all’isola di man questo non succede

È una caduta al TT può rivelarsi fatale come vediamo succedere in buona parte dei casi.

 

Inoltre la presenza del casco stesso è causa di lesioni importanti al tratto cervicale sottoposto a maggiori  sollecitazioni  in caso di impatto.

La sicurezza quindi non può ridursi al concetto di passività, e al subire l’incidente nella speranza che quanto indossato possa farci sopravvivere, occorre andare oltre e lavorare su quello che invece consente il massimo risultato.

Ed i massimo risultato possibile lo può garantire solo la Sicurezza Attiva, semplicemente perché vengono adottate tutte quelle modalità e quei comportamenti che permettono di prevenire l’incidente, e quindi a far si che NON SI VERIFICHINO LE CONDIZIONI LESIVE

Purtroppo tutto questo importante concetto oggi sembra di assumersi soltanto nell’utilizzo di un caschetto giallo e di un giubbottino parimenti fluorescente, fatte salve ovviamente le migliorie tecniche presenti sui mezzi moderni come freni e controlli elettronici che però non sono in grado da soli di risultare risolutivi.

 


 

Il problema delle sicurezza in moto oggi è un problema drammaticamente concreto ben lungi, non solo dall’essere risolto, ma anche solo dall’essere seriamente analizzato e comunicato,  

E questo causa numerose sottovalutazioni e errata percezione del pericolo e del problema sicurezza, in primis:

 

  • Scarsa percezione dei motociclisti, ma in genere tutti gli italiani, sulla reale efficacia dei dispositivi di sicurezza passiva: un casco aiuta a ridurre le conseguenze di una caduta o di un impatto ma, come sopra analizzato, non ci rende immortali;
  • Sottovalutazione legata al concetto tanto strombazzato del “farsi vedere”, peccato che farsi vedere da chi non guarda è praticamente impossibile, potremmo anche metterci sul casco una parrucca rossa, le orecchie di Dumbo, il naso da pagliaccio e suonare la grancassa ma tutto ciò non servirebbe a niente se chi ci attraversa la strada in quel momento sta guardando da un’altra parte o non sta guardando proprio perchè sta godendo per il like che mamma gli ha messo su l’ennesima cazzata scritta su di un social.

 

 

Purtroppo in questo paese per essere ascoltati bisogna essere forti ed essere in grado di fare la voce grossa e questo non è il caso della categoria alla quale, in quanto possessore di moto faccio parte,  anche se ormai la filosofia che anima il mio essere motociclista è condivisa probabilmente da meno dell’ 1% degli attuali motociclisti, ma la mia sicurezza passa anche attraverso quella di tutti gli altri e se la categoria dei motociclisti è invisibile sono invisibile anch’io.

Non è detto quindi, che tutte le accortezze e gli accorgimenti che ho messo in atto per più di 30 anni possono continuare a garantirmi la stessa incolumità, il numero degli imbecilli sembra essere in costante aumento e come se non bastasse a questi imbecilli qualche “genio” ha fornito un ulteriore elemento di distrazione (lo smartphone).

E così scribacchiano o leggono idiozie mentre guidano, incuranti del pericolo che generano e della possibilità di sacrificare una vita; ed è così che in questa giungla di idioti la mia voglia di saltare in moto diventa sempre meno pressante a causa del livello di attenzione portato ai massimi livelli per la paura che quello istintivo costruito nei decenni possa risultare oggi drammaticamente insufficiente.

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